Vadodara, 5 luglio 1882 – Nuova Delhi, 5 febbraio 1927
La vita e gli insegnamenti di Hazrat Inayat Khan
Mistico e musicista indiano nel 1910 partì dall'India per gli Stati Uniti con l'unico scopo di diffondere il Messaggio Sufi di Amore Armonia e Bellezza, creando un ponte tra Oriente e Occidente Hazrat Inayat Khan definì il Messaggio Sufi un messaggio di "Libertà Spirituale", intendendo con questo la possibilità di non essere più dipendenti dalle circostanze esterne, dalle fantasie della propria mente, da abitudini profondamente radicate e di cominciare a scoprire lavorando a se stessi con coraggio, una nuova pace interiore, una nuova felicità naturale, la libertà da ogni forma di attaccamento che è la fonte primaria di infelicità per gli esseri umani.
La vita
Inayat Khan nacque a Baroda, in India, il 5 luglio 1882. Durante la giovinezza si distinse per il suo talento sia poetico che musicale, ma la sua vocazione più profonda era verso le tematiche spirituali.
Quando era ancora un ragazzo, un giorno mentre Inayat stava pregando, pensò tra sé che non aveva ancora ricevuto una risposta alle preghiere che aveva offerto a Dio, che non sapeva dove Dio fosse ad ascoltare le sue preghiere e che non poteva rassegnarsi a continuare a pregare un Dio che non conosceva. Allora si recò impavido da suo padre e gli disse: “Penso che non continuerò più a pregare, perché questo non si concilia con la mia razionalità. Non so come posso continuare a pregare un Dio che non conosco”. Suo padre, colto di sorpresa, non si arrabbiò nel timore di poter inasprire le convinzioni di Inayat imponendogliele senza soddisfare la sua ragione, e fu felice, d’altro canto, di vedere che, sebbene fosse irriverente da parte di un ragazzo, era sincero: sapeva che il ragazzo aveva un grande desiderio di Verità, ed era pronto ad imparare ora, quello che molte persone non potevano imparare in una vita intera.
Gli disse: “Dio è in te e tu sei in Dio. Come la goccia è nell’oceano, la goccia è una parte dell’oceano e tuttavia non è separata dall’oceano. Per un attimo è apparsa come una goccia, poi ritornerà alla forma in cui era nata. La relazione tra l’uomo e Dio è la stessa. Il Profeta ha detto che Dio è più vicino a te della tua giugulare, il che significa in realtà che il tuo corpo è più lontano da te di quanto lo sia Dio. Se lo si interpreta correttamente significa che Dio è la profondità del tuo stesso essere.”
Questo momento fu per Inayat Khan la sua vera grande iniziazione, come se in lui fosse stato girato un interruttore, e da quel momento in poi per tutta la sua vita Inayat dedicò il suo intero essere alla testimonianza di quest’unica grande Verità.
La prima parte della vita di Inayat Khan ruotò intorno alla musica, e gli vennero attribuiti numerosi riconoscimenti e medaglie d’onore per il suo magnifico canto. Nel 1903 pubblicò una raccolta di 75 canzoni Indostane come Professor Inayat Khan Rahmat Khan Pathan. Dopo aver avuto una visione di un incontro con un maestro Sufi, conobbe Muhammad Abu Hashim Madani che lo istruì nelle pratiche degli ordini Sufi Chishti, Naqshbandi, Qadiri e Suhrawardi.
La prima volta che Inayat udì il suo Murshid parlare di cose metafisiche accadde un episodio assai divertente: era così interessato e pieno di entusiasmo per quello che il suo Murshid stava dicendo che subito estrasse un quaderno dalla tasca per prendere appunti. Ma non appena il Murshid vide nelle sue mani quaderno e penna, incominciò immediatamente a parlare di tutt’altro argomento. Inayat comprese che il suo Murshid intendeva dirgli che le sue parole dovevano essere impresse sull’anima, e non scritte con una penna sulle pagine di un quaderno. Tornò a casa in silenzio e rimase per ore senza parlare, riflettendo sulle parole che aveva udito. I suoi amici cominciarono a chiedersi cosa gli fosse accaduto da cambiare così tutta la sua vita. Era diventato una persona completamente diversa nelle parole, nelle azioni, nei modi, nell’espressione, nel suo atteggiamento e nella sua atmosfera. In tutte queste cose mostrava un notevole e netto cambiamento. Agli amici appariva come se Inayat fosse avanzato improvvisamente di centinaia di miglia nello stesso lasso di tempo usato da un comune viaggiatore per percorrerne uno solo.
Il suo Murshid solitamente indossava scarpe ricamate d’oro. Un giorno quando il suo sguardo cadde su queste scarpe, nella sua mente si presentò un pensiero: perché il mio Murshid nonostante la sua semplicità indossa scarpe così costose? Subito si pentì di aver avuto un simile pensiero sul suo maestro e il suo viso si fece pallido, Ma il suo Murshid che conosceva tutti i suoi pensieri, sorridendo disse soltanto: “La ricchezza di questa terra è degna soltanto di stare ai miei piedi.”
Inayat cominciò un pellegrinaggio ai luoghi sacri dell’India, e all’inizio incontrò il figlio del Guru Manek Prabhu che gli chiese: “Cosa ti ha portato qui?”. E Inayat rispose: “Ho sentito che la casa di Manek Prabhu non è soltanto un tempio religioso, ma anche un centro di musica e poichè io ho intrapreso questo viaggio per rendere omaggio ai santi che vivono sul suolo indiano, ho deciso per prima cosa di visitare questo luogo.”
“Sono molto sorpreso che tu abbia scelto questo luogo invece che il tempio di un qualche Santo Mussulmano”, sottolineò il giovane stupito. Al che Inayat replicò:
“Mussulmano o Indù sono solo distinzioni esteriori, la Verità è una sola, Dio è uno, la vita è una. Per me il due non esiste. Due è solo uno più uno. Mukti (la liberazione) è l’ideale della vita, è elevarsi sopra le diverse nascite e morti, invece che essere coinvolti nell’eterna ruota del nascere e del morire, che gira in continuazione grazie alla batteria costantemente mutevole del karma (azione)”. Dopo aver girato in lungo e in largo l’India ed essersi stabilito brevemente a Calcutta, Inayat cominciò a realizzare che era venuto il momento di dare il via ad una nuova fase della sua vita. Visse a Calcutta per molti anni e lì ricevette la notizia della morte del suo amatissimo padre, e per lui fu un colpo indescrivibile, anche se in tal modo la sua vita divenne libera da ogni dovere vincolante poiché sentiva come un dovere sacro il legame coi suoi genitori. Poco dopo, gli capitò un’altra sventura: la perdita delle sue onorificenze. In un momento di distrazione l’astuccio delle medaglie fu lasciato in un’auto e nonostante tutti i suoi sforzi non fu mai ritrovato. Ma dopo un’iniziale forte disappunto, una rivelazione divina toccò le corde nascoste della sua mente e aprì i suoi occhi alla verità. Inayat si disse: “Non importa quanto tempo tu abbia dedicato ad ottenere queste cose che non ti sono mai appartenute, ma che tu hai chiamato tue; oggi comprendi che non sono più tue. Ed è lo stesso per tutto ciò che possiedi nella vita, le tue proprietà, i tuoi amici, i tuoi parenti, il tuo stesso corpo e la tua mente. Tutto quello che chiami ‘mio’, non essendo una tua proprietà, ti lascerà, e solo quello che chiami ‘io’, che è completamente scollegato da tutto ciò che chiami ‘mio’, rimarrà.”
Allora si inginocchiò e ringraziò Dio della perdita delle sue onorificenze, esclamando: “Fa’ che tutto svanisca dalla mia imperfetta visione, tranne il Tuo vero Sé, ya Allah!”.
Poco prima della morte del suo amato maestro, Inayat aveva ricevuto da lui questo compito: “Parti e vai nel mondo, figlio mio, e armonizza l’Oriente e l’Occidente con l’armonia della tua musica. Diffondi ovunque la saggezza del Sufismo, perché è a questo scopo che la tua arte ti è stata donata da Allah, il più misericordioso e compassionevole”.
Per adempiere questa missione, Inayat, insieme al cugino e al fratello, partì dall’India verso l’America il 13 settembre 1910. Nella sua autobiografia Inayat scrisse a proposito di quel viaggio:
Dal destino fui trasportato dal mondo della lirica e della poesia al mondo dell’industria e del commercio il 13 settembre 1910. Dissi addio alla mia madrepatria, la terra Indiana, la terra del sole, per l’America, la terra del mio futuro, dicendomi: ‘ Forse un giorno ritornerò’ senza sapere quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che potessi tornarvi. L’oceano che dovevo attraversare mi sembrava come un abisso tra la mia vita passata e la vita che stava per cominciare. Trascorrevo il mio tempo sulla nave osservando il sollevarsi e ricadere delle onde, realizzando che questo sollevarsi e ricadere era un’immagine riflessa della vita, la vita degli individui, delle nazioni, delle razze e del mondo. Cercavo di pensare dove stavo andando, perché stavo andando e che cosa andavo a fare, che cosa mi aspettava. ‘Come mi metterò al lavoro? La gente sarà favorevole o no al Messaggio che sto portando da un capo all’altro del mondo?’. Curiosamente sembrava che la mia mente continuasse a rimuginare questi temi, mentre il mio cuore si rifiutava di pensarci anche solo per un istante, poiché una voce lontana che io udivo costantemente provenire dalla mia interiorità rispondeva e mi spingeva incessantemente ad andare avanti nel mio compito, dicendo: Sei stato inviato per servirCi e siamo Noi Che ti apriremo il cammino.” Questa soltanto fu la mia consolazione.
(brani tratti dalla Biografia di Hazrat Inayat Khan)